De #Venezia a la #Fescaal Simon de la montaña (Simon de la montaña) por Federico Luis

Una produzione Argentina / Chile / Uruguay: la storia di un giovane ventunenne che ritrova uno scopo rinnovato dopo aver stretto amicizia con un gruppo di giovani disabili

Revisar: Simon of the Mountain è un’opera che sfida le aspettative e le etichette, portando lo spettatore in un viaggio complesso attraverso le sfide dell’adolescenza e le lotte per l’identità. Il film si apre e si chiude con due interviste che incorniciano tutto il film, in cui Simon viene sottoposto a una serie di domande volte a scoprire chi è e quali compiti sa fare: è un aiuto traslocatore, non sa cucinare né pulire il bagno ma sa rifarsi il letto. La prima intervista è condotta su una montagna desolata e battuta dal vento, dove si è unito a un gruppo di giovani disabili in gita. La seconda intervista fa parte di una valutazione psichiatrica. Tra le due si sviluppa la storia di Simon, svelata allo spettatore attraverso i rapporti complessi che ne caratterizzano la quotidianità, con Pehuen e Colo da una parte, con la madre e il suo compagno dall’altra.

Piano piano il regista ci svela che Simon non fa veramente parte del gruppo di giovani disabili con cui fa la gita in montagna che apre il film. Gradualmente vengono mostrati frammenti della sua vita familiare e nei filmini della sua infanzia non troviamo i tic che dice di avere, non ci sono tracce che stia prendendo le medicine che dice di prendere, non esiste un certificato di disabilità. Simon, en efecto, sta fingendo, e Pehuen lo aiuta ad allenarsi per fingere bene e ottenere il certificato di disabilità, mentre intanto l’amicizia con Colo, affetta da sindrome di Down, diventa sempre più che una semplice amicizia. Con il tempo gli scontri con una madre sempre più frustrata, che non riconosce più il figlio, diventano sempre più violenti fino a richiedere l’indervento dei paramedici e degli psichiatri.

Per quanto le due interviste che segnano l’arco della narrazione siano incentrati sul riconoscimento della disabilità, questo non è il tema centrale di Simon of the Mountain, che è in realtà, a detta dello stesso regista, una riflessione sull’adolescenza. Questa chiave interpretativa è fondamentale per comprendere il vero cuore del film, che utilizza la disabilità come una metafora delle lotte universali per trovare il proprio posto nel mondo, la coerenza tra il nostro sguardo sul mondo e ciò che ci si aspetta da noi, l’eterno conflitto che caratterizza la crescita e che ben è sottolineato da un uso evocativo del paesaggio, come ad esempio la tempesta in cui si imbattono sulla montagna.

Simon of the Mountain è un film che, anche se in maniera poco intuitiva o immediata, invita lo spettatore a riflettere sulle sfide dell’adolescenza, l’identità e le aspettative sociali, a diventare consapevole che quelle etichette che sembrano segnare l’esistenza sono solo negli occhi dell’altro.

Maria Vittoria Battaglia

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