
“Il Gaza Hospital era il migliore ospedale del Medio Oriente. Prima che arrivassero gli israeliani, arrivavano persone da tutto il mondo, i dottori più importanti hanno lavorato qui (…) e poi la milizia venne e rubò tutto”
Il “ciack” si apre con la voce di un uomo che rimbomba nel buio più totale, aprendo quest’immersione nel Gaza Hospital di Sabra. Questa città è molto nota – purtroppo – per il massacro del 1982 di sciiti libanesi e cittadini palestinesi, ad opera delle Falangi libanesi e dell’esercito israeliano. Già ospedale dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), il Gaza Hospital è stato smantellato ed è diventato rifugio per i palestinesi li esiliati.
Tuttora è una fortezza fatiscente di undici piani, l’ultimo riparo per un’umanità al limite della sopravvivenza, intrappolata nel degrado e sospesa in una dimensione atemporale.
これらの中でも, alcuni bambini come Arafat e Muhammad cercano di distrarsi con piccoli giochi cercando di esplorare parti sotterranee dell’edificio. Altre loro coetanee, 代わりに, cercano carta e pennarelli con cui disegnare, ma fondamentalmente praticano la loro creatività anche sui muri, altre cantano, ballano, o si prendono cura di piccole piante invasate in bottiglioni di plastica; alcune ragazze più grandi, come Jinen, ascoltano musica e si truccano, altri adulti fumano, si fanno compagnia coi pochi telefoni cellulari, qualcuno cerca delle carte da gioco perse.
Le voci di corridoio son sempre esistenti: la nuova voce è che sia caduto un uomo, dopo essersi intrufolato in una casa per rubare.
È una leggenda o è accaduto veramente?
Prodotto da Labo GCL, Primates, Revok con il supporto dell’Atelier Milano Film Network 2023, #AManFell è interamente girato in soli diciotto giorni da Lo Russo all’interno dell’ex ospedale, con inquadrature fisse che documentano il tempo dilatato e privo di dignità dei suoi abitanti.
La direzione estetica del film è dettata infatti tutta su un chiaro scuro, priva di luce.
Tant’è che le torce elettriche sono state necessarie per esplorare i piani completamente bui.
Assodato ciò, l’edificio sembra assorbire e annullare la visibilità luminosa che proviene dall’esterno, unico segnale di una città in movimento insieme al brulicare sonoro che arriva dalla strada insieme alle preghiere della moschea.
L’opera è scritta da Lo Russo e co-prodotto con Yasser Kamal Al Ali, barbiere già abitante del Gaza Hospital con i suoi tre figli, insieme al quale, per un incontro fortuito, il progetto ha preso vita. Insieme hanno assemblato la struttura della pellicola, tra osservazione e messa in scena di situazioni tra un appartamento e l’altro. Nelle parole di Lo Russo, una documentazione ravvicinata di “un monolite di resistenza passiva della condizione palestinese”.
In questo rullo, molti dei personaggi si son sentiti “immortali”. 代わりに, bisogna riflettere e ricordarsi, anche guardando il documentario, che nulla è scontato.
Eleonora Ono