
Maria Vittoria's pills from the WEB (MyMovies)
(from Venice Luigi Noera and Valentina Vignoli with the kind collaboration of Maria Vittoria Battaglia, Vittorio De Agrò (RS) and Marina Pavido – the photos are published courtesy of the Venice Film Festival)
La BIENNALE College chiude con un film meraviglioso
Honeymoon di Zhanna Ozirna (Biennale College)
Honeymoon è un’opera che cattura lo spettatore con una delicatezza quasi brutale e una suspense implacabile. Set in the heart of the war in Ukraine, il film racconta con straordinaria potenza emotiva l’esperienza di una coppia appena sposata che vede il proprio sogno di vita insieme trasformarsi in un incubo.
La narrazione inizia con una dolcezza ingannevole: i due protagonisti, giovani e innamorati, celebrano il matrimonio e si trasferiscono nel loro nuovo appartamento. Attorno a loro, un’ombra incombente si fa sempre più palpabile – la minaccia di un conflitto con la Russia – ma le discussioni con gli amici sulle prospettive di guerra sono intrise di una sorta di fatalismo lontano, come spesso accade quando il pericolo sembra irreale. Ma il vero orrore esplode nel cuore della notte: il rombo delle bombe squarcia il silenzio, trascinando i protagonisti e lo spettatore in un vortice di paura e incertezza. È l’inizio dell’invasione russa. Da qui in avanti Honeymoon diventa un autentico esercizio di tensione cinematografica.
Il regista costruisce l’angoscia con un ritmo lento e inesorabile, costringendo la coppia a rinchiudersi nell’appartamento mentre l’edificio viene circondato dai soldati russi. Ogni suono diventa una minaccia, ogni respiro trattenuto un atto di sopravvivenza. Il film è così carico di silenzio che lo spettatore è indotto a sintonizzarsi con il proprio corpo, avvertendo il battito del cuore che accelera all’unisono con quello dei protagonisti. La decisione della coppia di rimanere nascosta diventa un gioco crudele e disperato: scivolare sul pavimento per non farsi udire, sussurrare per evitare di essere scoperti, razionare il cibo e l’acqua come se ogni piccola azione potesse significare la differenza tra la vita e la morte. Il film sceglie di non mostrare la brutalità in modo esplicito, ma non per questo risparmia lo spettatore dalla violenza emotiva. Le scene in cui i soldati russi uccidono gli altri inquilini dell’edificio, for example, non vengono rappresentate visivamente, ma i suoni – i passi, i colpi di pistola, le grida soffocate – sono sufficienti a far provare un orrore profondo e viscerale. È una scelta stilistica che amplifica l’intensità della narrazione, lasciando che sia l’immaginazione dello spettatore a colmare il vuoto, rendendo la sofferenza e la paura ancora più tangibili.
Judgment: 5/5
Le Giornate degli Autori e Notte Veneziane affascinano con il linguaggio cinematografico
Selon Joy (The Book of Joy) di Camille Lugan (GdA)
Synopsis: In una città spenta e desolata, Joy è un’orfana con una fede profonda che non esce quasi mai dalla sua chiesa. Fino al giorno in cui incontra Andriy, un giovane che viene picchiato davanti a lei. Presto comprende che le loro strade sono destinate a incrociarsi.
Review: Selon Joy si propone come un film visivamente affascinante, che gioca su una fotografia che alterna sapientemente luci e ombre per evidenziare il contrasto tra bene e male, tema in qualche modo centrale dell’intera narrazione. La trama segue Joy, una giovane orfana cresciuta in una città grigia e priva di memoria storica, che sembra metaforicamente incarnare un mondo senza redenzione. Joy, accolta da padre André, vive praticamente rinchiusa in una chiesa, in un’esistenza scandita dal lavoro e dalla devozione religiosa, quasi come se la sua stessa vita fosse un atto di penitenza.
La fede è il perno attorno a cui si sviluppa il film, ricco di riferimenti cristologici, dalle riflessioni sulla grazia alla fotografia, ricca di inquadratura che richiama una certa iconologia e il gioco di luci che richiama una teologia apocalittica-giovannea, in cui la costante tensione tra luce e oscurità è associata alla rivelazione del Cristo e alla lotta tra il bene e il male.
however, sebbene questi elementi tematici siano potenti e suggestivi, il film a tratti sembra soffrire di una certa prevedibilità, finendo talvolta per risultare didascalico e forse un po’ troppo carico di cliché. Un film certamente interessante, che avrebbe però beneficiato di una maggiore complessità e di una più audace esplorazione dei suoi temi.
Judgment: 3/5
A man fall di Giovanni C. Lorusso (Venetian nights)
Synopsis: Sabra, in Libano, è nota a causa del massacro compiuto nel 1982 dalle Falangi libanesi e dall’esercito di Israele allo scopo di uccidere cittadini palestinesi e sciiti libanesi, lasciando oltre tremila vittime. Qui sorge il Gaza Hospital che, dopo essere stato un ospedale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina alla fine degli anni Settanta, è stato poi smantellato, divenendo un simbolo della sopravvivenza dei palestinesi, che tuttora vi trovano rifugio. Nel Gaza Building vive il protagonista di A Man Fell, l‘undicenne Arafat, che passa il tempo tra le rovine degli undici piani dell’edificio. Insieme al suo amico Muhammad pensa a come esplorare i sotterranei proibiti, dove «ci sono solo sesso, droga e morte», mentre tutti nel palazzo parlano della storia probabilmente falsa di un uomo che sarebbe caduto dal quarto piano di quello stesso edificio per motivi ignoti.
Review: Il regista Lorusso presenta un documentario ambientato nel Gaza Building di Beirut, un vecchio ospedale oggi dimora di rifugiati palestinesi, che si concentra sulle vite degli abitanti del palazzo, in particolare su Arafat, una delle figure centrali del racconto. La videocamera li segue con occhio discreto nelle loro attività quotidiane, piccoli giochi e commissioni, regalando allo spettatore un ritratto quasi intimo della monotonia e della resistenza di una comunità invisibile al resto del mondo.
La forza del film, no doubt, risiede nella sua estetica. La fotografia è superba, un gioco di luci e ombre che trasforma il degrado del palazzo in una sorta di bellezza malinconica. Le riprese delle finestre che incorniciano i volti annoiati dei ragazzi, fissi a guardare il mondo esterno, risultano struggenti. Questi momenti sono forse i più potenti dell’intero documentario, trasmettendo la soffocante assenza di prospettive che caratterizza la vita dei rifugiati, ma anche il persistente desiderio di cambiamento. L’immagine diventa simbolo di una speranza fragile, mai del tutto spenta. Il documentario si perde però, Unfortunately, nella forma e nella fotografia impeccabile, rimanendo un’istantanea statica di una realtà che meriterebbe un trattamento più profondo e complesso. Un’occasione mancata che lascia, anyway, una traccia visiva indelebile.
Judgment: 2,5/5
Maria Vittoria Battaglia