Il festival arriva al giro di boa
(da Cannes Luigi Noera e Marina Pavido – Le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)
In questa sesta giornata del festival di Cannes 2023, non sono mancate delusioni e vere e proprie rivelazioni. Giunto, dunque, a metà del suo percorso, il festival si sta rivelando più ricco e variegato che mai. Di seguito, una panoramica di alcuni film presenti.
COMPETITION
ANATOMIE D’UNE CHUTE di Justine TRIET
Sandra, Samuel e il loro figlio ipovedente di 11 anni, Daniel, vivono da un anno lontano da tutto in montagna. Un giorno Samuel viene trovato morto ai piedi della loro casa. Viene aperta un’indagine per morte sospetta. Sandra viene presto accusata: suicidio o omicidio? Un anno dopo, Daniel assiste al processo della madre, una vera e propria dissezione della coppia. Lo ha visto per noi Luigi Noera (RECENSIONE).
FIREBRAND di Karim AÏNOUZ
In corsa per l’ambita Palma d’Oro al Festival di Cannes 2023, ecco arrivare una storia tutta al femminile. Una storia che, in realtà, tutti conosciamo. La storia di Catherine Parr, sesta e ultima moglie di Enrico VIII, del suo turbolento periodo da reggente e delle sue battaglie in favore del protestantesimo. Stiamo parlando del lungometraggio Firebrand, diretto da Karim Aïnouz e che, in seguito alla sua presentazione in anteprima mondiale, si è rivelato, in realtà, piuttosto deludente. Ma andiamo per gradi.
Per l’occasione, dunque, la protagonista è stata impersonata da Alicia Vikander, mentre il suo consorte è un irriconoscibile Jude Law. Catherine ha sempre sostenuto segretamente le teorie professate da Anne Askew, successivamente giustiziata sul rogo in quanto eretica. Nel momento in cui la donna verrà a sapere della sua morte, i rapporti con suo marito (a sua volta sempre più diffidente nei suoi confronti, in quanto fermamente convinto che la donna abbia aiutato finanziariamente la Askew) si deterioreranno sempre più. Fino a un inevitabile epilogo.
Firebrand, dunque, è indubbiamente un’opera ambiziosa. Costumi pomposi e opulente ambientazioni ben caratterizzano il contesto storico in cui ci troviamo, ma, di fianco a un così largo impiego di fondi, il lungometraggio finisce irrimediabilmente per rivelarsi un film pericolosamente retorico, con non poche forzature al proprio interno e personaggi che assumono quasi le caratteristiche di macchiette (e ciò riguarda – ahimé – anche il povero Jude Law). Tanto fumo, niente arrosto. E persino la particolare rilettura della storia qui effettuata finisce per sgonfiarsi come un palloncino.
UN CERTAIN REGARD
THE BREAKING ICE di Anthony CHEN
È inverno a Yanji, una città della Cina settentrionale, al confine con la Corea. Haofeng, arrivato da Shanghai per un matrimonio, si sente un po’ perso. Per caso incontra Nana, una giovane guida turistica, da cui si sente subito attratto. Lei gli presenta Xiao, un amico cuoco. I tre legano rapidamente per un piatto preparato da Xiao. Questo incontro intenso li mette di fronte alla loro storia e ai loro segreti. I loro desideri sopiti si svelano lentamente, come i paesaggi e le foreste innevate del Monte Changbai. Lo ha visto per noi Luigi Noera (RECENSIONE).
IF ONLY I COULD HIBERNATE di Zoljargal PUREVDASH
Una piacevole sorpresa all’interno della sezione Un certain Regard in questo 76° Festival di Cannes, invece, ci è arrivata dal giovane regista mongolo Zoljargal Purevdash, il quale, con If only I could hibernate, la sua opera prima, ci ha regalato un lungometraggio sincero e doloroso, ma anche pregno di una sempre piacevole speranza.
La storia messa in scena, dunque, è quella del giovane e promettente Ulzii, il quale vive in un remoto villaggio della Mongolia insieme a sua mamma e ai suoi due fratellini. Il ragazzo sogna di vincere una borsa di studio in matematica e fisica e per ottenere ciò lavora duramente. Le cose, tuttavia, si faranno più difficili nel momento in cui sua mamma troverà lavoro lontano da casa e Ulzii dovrà trovare un lavoro per poter mantenere i fratelli minori. Il freddo rigido del villaggio in cui vivono, dal canto suo, non sarà affatto d’aiuto.
If only I could hibernate, dunque, vede il suo massimo punto di forza in un ruvido realismo, più che mai necessario al fine di farci conoscere ogni singolo aspetto della vita di periferia e di chi vive ai margini della società. Il regista, dal canto suo, trattando i paesaggi alla stregua di veri e propri personaggi in grado di influenzare fortemente il destino del giovane protagonista, ci ha raccontato una storia sì cruda e spietata, ma anche particolarmente tenera, poetica e commovente. La storia di chi, con le sue forze e lottando duramente ogni giorno, fa di tutto per raggiungere, finalmente, un futuro migliore.
OUT OF COMPETITION
MIDNIGHT SCREENINGS
PROJECT SILENCE di Kim Tae-gon
Esplosioni, incidenti d’auto, pericolosi cani rabbiosi che si scagliano contro chiunque si trovi nelle loro vicinanze, un misterioso progetto che potrebbe rivelarsi letale per l’umanità intera, un tanto delicato quanto problematico rapporto padre/figlia. Tutto questo è Project Silence, diretto dal regista coreano Kim Tae-gon e presentato in anteprima fuori concorso al 76° Festival di Cannes, all’interno della sezione Midnight Screenings.
Il dipendente di un’importante multinazionale, in cui si sta lavorando da tempo a un progetto segreto, parte in macchina con sua figlia per accompagnare quest’ultima nella sua nuova scuola lontano da casa. Improvvisamente, una fitta nebbia non permette di vedere più nulla e i due verranno coinvolti, insieme a numerose altre macchine, in un violentissimo incidente. Rimasti illesi, essi – insieme a numerosi altri viaggiatori come loro – dovranno affrontare ben altri problemi, tra cui i costanti attacchi da parte di pitbull geneticamente modificati.
Adrenalinico, ma anche, a tratti, decisamente forzato e – ahimé! – addirittura involontariamente ridicolo, Project Silence ha tutto l’aspetto di un horror di serie B, sì complessivamente gradevole, ma che soffre eccessivamente di una sceneggiatura debole e a tratti prevedibile, oltre che di effetti speciali pacchiani e raffazzonati. Si ride (spesso, purtroppo, anche involontariamente) durante la visione di Project Silence, quello sì. Eppure, al contempo, si è consapevoli del fatto che, già poco tempo dopo la sua uscita in sala, questo lavoro di Kim Tae-gon finirà inevitabilmente nel dimenticatoio. Peccato.
SPECIAL SCREENINGS
LITTLE GIRL BLUE di Mona Achache
Alla morte della madre, Mona Achache scopre migliaia di foto, lettere e registrazioni, ma questi segreti sepolti resistono all’enigma della sua scomparsa. Così, attraverso il potere del cinema e la grazia dell’incarnazione, decide di resuscitarla per rivivere la sua vita e comprenderla. Lo ha visto per noi Luigi Noera (RECENSIONE).
BREAD AND ROSES di Sahra Mani
Bread and Roses è uno sguardo potente sull’impatto sismico delle condizioni di vita e dei diritti delle donne dopo la caduta di Kabul in mano ai Talebani nel 2021. Il film segue tre donne in tempo reale mentre lottano per riconquistare la loro indipendenza. Lo ha visto per noi Luigi Noera (RECENSIONE).
QUINZAINE
BLACKBIRD BLACKBIRD BLACKBERRY di Elene Naveriani
Una vera e propria ventata di aria fresca, all’interno del ricco programma di questo 76° Festival di Cannes, è indubbiamente il lungometraggio Blackbird Blackbird Blackberry, diretto dalla giovane regista Elene Naveriani, frutto di una coproduzione tra Georgia e Svizzera e presentato in anteprima all’interno della Quinzaine des Cinéastes.
La storia messa in scena, dunque, è quella di Ethéro (impersonata da una straordinaria Eka Chavleishvili), una donna georgiana di quarantotto anni che gestisce un piccolo negozietto e che per tutta la sua vita (anche a causa di un complesso background familiare) non ha mai goduto appieno di tutto ciò che la vita stessa avrebbe potuto offrirle. Un giorno, quasi per caso, in seguito a un incidente in montagna a causa del quale avrebbe potuto perdere la vita, la donna si renderà finalmente conto che è arrivato il momento di “spiccare il volo”. A cominciare da un nuovo, improvviso e inaspettato amore. Il suo primo amore.
Blackbird Blackbird Blackberry è un grido di libertà. La scoperta di una nuova consapevolezza. Il ritrovato amore per sé stessi e una vibrante e pulsante voglia di vivere appieno tutto ciò di cui ci si è sempre privati. L’intero lungometraggio ruota attorno a Ethéro, il cui cambiamento interiore ben presto si manifesta anche all’esterno, magnetica com’è nella sua invidiabile sicurezza di sé. La donna, finalmente, ha compreso il valore della vita e non vuole più sprecare il suo tempo rassegnandosi nel suo “vivere a metà”, né tantomeno preoccuparsi delle sue coetanee ormai realizzate e con una famiglia che altro non fanno che prenderla in giro.
Realismo e onirismo (particolarmente degna di nota – e quasi di felliniana memoria – la scena iniziale in cui la protagonista, dopo essersi salvata dal suddetto incidente, vede l’immagine del suo cadavere circondato dalla gente) ben si sposano in Blackbird Blackbird Blackberry e insieme a una mai eccessiva sensualità rendono questo piccolo e importante lungometraggio di Elene Naveriani una piacevole sorpresa all’interno di questo Festival di Cannes 2023.
LE LIVRE DES SOLUTIONS di Michel Gondry
Otto anni dopo il suo ultimo film, Michel Gondry torna con un alter-ego dai tormenti burleschi. Marc, regista bipolare e paranoico, non sopporta il rifiuto dei produttori del suo film in lavorazione, i cui scorci di riprese fanno pensare al peggio. Accompagnato dal suo montatore, porta tutte le riprese a casa della zia nelle Cévennes, per completare il film secondo i suoi desideri. Al contempo, si sforza di rimandare il completamento del film, lanciando continuamente nuovi progetti, che sono altrettanti diversivi e vicoli ciechi, sia comici che inquietanti. (a breve la RECENSIONE).
SEMAINE DE LA CRITIQUE
Compétition
SLEEP di Jason Yu
Un altro gustoso horror, invece, è stato presentato durante questa sesta giornata di Cannes 76 all’interno della Semaine de la Critique. Stiamo parlando di Sleep, opera prima del giovane regista coreano Jason Yu.
La storia messa in scena, dunque, è quella di una giovane coppia in procinto di avere un bambino. Lui è un attore emergente, mentre lei è un’impiegata. Una notte, improvvisamente, l’uomo inizia a soffrire di sonnambulismo, trasformandosi quasi in un’altra persona, decisamente pericolosa per sé stessa e per chi gli sta vicino. Sua moglie, dal canto suo, è terrorizzata dal fatto che egli possa fare del male alla loro bambina appena nata e anch’ella, pian piano, inizierà a soffrire di disturbi del sonno.
Forte di quanto realizzato in passato, Sleep è, di fatto, un piccolo e genuino film di genere che nella sua semplicità riesce anche a mostrare una propria, spiccata personalità. Il regista, dal canto suo, si è avvalso di suoni fuori campo, di ombre che si muovono furtive, di notte, per casa e, non per ultimo, dell’onirico e di tutto il potente immaginario legato a esso. Il suo Sleep si fa, così, profonda metafora della paura di essere genitori, con tutte le insicurezze del caso. Il tutto, ovviamente, messo in scena in modo originale ed estremamente personale. Una piacevole sorpresa all’interno di questa già di per sé variegata Semaine de la Critique.
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Marina Pavido