Cronenberg ed Alper a confronto nelle due selezioni principali lasciano il segno a questa edizione che affronta anche il tema delle guerre di ieri e di oggi, per questo motivo abbiamo voluto evidenziare una foto dal doc di Sergei Loznitsa
(da Cannes Luigi Noera e Marina Pavido – Le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)
Arte, chirurgia e mutazioni – Crimes of the Future
Grande attesa al Festival di Cannes 2022 per Crimes of the Future, ultima fatica del regista canadese David Cronenberg, qui in corsa per la tanto ambita Palma d’Oro. In questo suo importante lungometraggio, Cronenberg ha ripreso, dunque, un discorso iniziato già negli anni Settanta, percorrendo un’ulteriore tappa di un processo iniziato più di cinquant’anni fa, in cui il corpo umano si evolve, subisce importanti mutazioni e si adatta anche alle nuove tecnologie, in un mondo in cui, ormai, la tecnologia stessa gioca il ruolo di protagonista assoluta.
Saul (impersonato da Viggo Mortensen) è un body artist in grado di sviluppare all’interno del suo corpo organi del tutto nuovi, rimossi chirurgicamente proprio durante le sue performace dalla sua assistente Caprice (Léa Seydoux). All’interno di un nutrito gruppo di artisti che, pur occupandosi di body art sembrano produrre soltanto arte-spazzatura i due sembrano quasi i “sopravvissuti” in un mondo in cui, ormai, si punta tutto sulla spettacolarità, senza indagare a fondo la vera essenza di ciò che ci circonda.
I quesiti sollevati da Cronenberg in Crimes of the Future sono tutt’altro che semplici. Chi siamo? E, soprattutto, cosa stiamo diventando? In Crimes of the Future i mutamenti corporei vengono osservati come pure manifestazioni della bellezza nel senso più puro, sebbene non sempre vengono accettati come naturale processo di trasformazione. Particolarmente significativa, a tal proposito, è la figura di Brecken, un bambino, una sorta di “creatura” studiata a tavolino, che non viene mai accettato da sua madre, spaventata dal fatto che suo figlio continui a mangiare plastica. Il suo omicidio all’inizio del lungometraggio lo rende ben presto vittima sacrificale atta a far comprendere al mondo intero verità ben più “grandi”.
Ambienti bui, musiche disturbanti, letti con forme mutanti che si adattano ai movimenti del corpo umano, operazioni chirurgiche senza anestesia costituiscono l’essenza del presente lungometraggio. L’essere umano non sente più dolore. Al contrario, la chirurgia in sé è vista come una nuova forma evolutiva dell’atto sessuale. Con Crimes of the Future David Cronenberg ci ha regalato un’opera monumentale, magnetica e meravigliosamente disturbante. Un film che si è decisamente rivelato una spanna sopra la media delle opere presenti in questa 75° edizione del Festival di Cannes.
Omicidi e amori impossibili – Decision to leave
Un altro grande nome presente, in concorso, a questa 75° edizione del Festival di Cannes è il celebre regista coreano Park Chan-wook. In questa occasione, infatti, il cineasta ci ha regalato Decision to leave, un raffinato giallo con un’appassionata storia d’amore sullo sfondo, che non disdegna nemmeno di una gradita, velata ironia.
Il cadavere di un uomo – probabilmente precipitato durante una scalata in montagna – cattura immediatamente l’attenzione della polizia. Sarà stato un incidente o un omicidio? Il detective Hae-joon è incaricato di occuparsi del caso. Fondamentale durante il processo di indagine, la moglie del defunto, l’affascinante Sao-rae, che viene dalla Cina e che ha un controverso passato alle spalle. Tra i due scatta immediatamente qualcosa, ma il loro amore sembra destinato a non trovare mai un proprio compimento. A cosa porterà tutto ciò?
Decision to leave è indubbiamente un film ben scritto, in cui una regia attenta a ogni minimo dettaglio, perfettamente in grado di mixare tensione, ironia e momenti fortemente evocativi si rivela la vera peculiarità del film. Perfettamente in linea con lo stile di Park Chan-wook, d’altronde.
Il problema principale di un film come Decision to leave, tuttavia, è che, ripensando all’importante e prolifica carriera del regista, ci rendiamo tristemente conto di come egli, oggi, non riesca a eguagliare alcuni suoi capolavori del passato (la Trilogia della Vendetta, ad esempio, parla da sé). Se, dunque, il presente lungometraggio può tranquillamente essere classificato complessivamente come un buon film (con non pochi momenti di spicco al suo interno, tra tutti la straziante scena finale), seppur con qualche lungaggine di troppo, soprattutto per quanto riguarda la parte centrale, non possiamo non ripensare con nostalgia a ciò che Park Chan-wook ci ha regalato in passato. I tempi gloriosi sembrano ormai lontani. Chissà se torneranno ad allietarci anche in un futuro prossimo.
Solo contro tutti – Burning Days
Il potere. La corruzione. I diritti umani che mai vengono rispettati e un forte, fortissimo desiderio di giustizia. Nel suo ultimo lungometraggio – Burning Days, presentato in anteprima mondiale alla 75° edizione del Festival di Cannes, all’interno della sezione Un certain Regard – il regista turco Emin Alper ha messo in scena tutto ciò dando vita a un thriller complessivamente soddisfacente, in cui un giovane eroe si trova a fare i conti con una realtà molto più grande di lui.
Emre, dunque, è un giovane procuratore che viene inviato in un remoto villaggio della Turchia. Qui la corruzione è molto alta e, nel momento in cui egli si troverà a interessarsi a problemi come l’ecologia, l’approvvigionamento idrico e il benessere dei suoi concittadini, le autorità del posto faranno di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote. Le cose, inoltre, prenderanno una piega ancor più drammatica nel momento in cui, dopo aver cenato con due personalità del posto, l’uomo verrà drogato e fatto ubriacare. Quella stessa sera, i due uomini violenteranno una ragazza con problemi mentali andata da loro per intrattenerli con un po’ di musica e balli.
Un ruvido realismo – che trova una sua location ideale in case malmesse, in piccole stradine di paese sporcate di sangue dopo una cruenta caccia al cinghiale e in enormi distese di sabbia – si rivela la soluzione ideale per mettere in scena il dramma del giovane Emre. Il paese in cui il protagonista è stato inviato sembrerebbe quasi un piccolo universo a sé, in cui, tuttavia, gli interessi e le dinamiche malate ricordano quasi quelle di un grande centro urbano.
Interessante notare, a tal proposito, come il regista abbia optato per una messa in scena che, man mano che la storia procede, sembra somigliare sempre più a un thriller di stampo statunitense. Burning Days è un lungometraggio complessivamente pulito e privo di sbavature, pur non brillando particolarmente per originalità, sia per quanto riguarda le tematiche che l’approccio registico. Ma tant’è. Emin Alper sa il fatto suo. E in questo Festival di Cannes 2022 si è comunque dignitosamente distinto.
Fuori concorso due film potenti, il primo un documentario sulla guerra, che sia la IIWW non ha importanza, il secondo su un tema sempre attuale: la giustizia.
La Seconda Guerra Mondiale da tutti i punti di vista – The natural History of Destruction
Il regista e documentarista ucraino Sergei Loznitsa è noto per il minuzioso lavoro d’archivio compiuto prima della realizzazione di ogni suo film. Filmati e mmagini di repertorio, sapientemente montati l’uno con l’altro e legati semanticamente tramite un uso delle musiche che si fanno attrici essenziali nel raccontare ciò che il cineasta ha voluto mettere in scena, fanno parte, ormai, del suo marchio di fabbrica. Attraverso il suo cinema, la Storia contemporanea e del passato ha preso vita in modo vivo e pulsante sul grande schermo, come solo uno sguardo attento e coraggioso saprebbe fare.
Perfettamente in linea con il resto della sua filmografia, dunque, il documentario The natural History of Destruction – presentato in anteprima in occasione della 75° edizione del Festival di Cannes all’interno della sezione Special Screenings – ci mostra un capitolo cruciale della storia mondiale del secolo scorso, offrendoci punti di vista variegati e immagini di grande, grandissimo impatto emotivo.
Ci troviamo in un piccolo villaggio della Germania degli anni Quaranta. La vita sembra trascorrere tranquilla, tra giornate trascorse a pranzare tutti insieme all’aria aperta, musicisti che intonano allegre melodie lungo la strada e contadini che portano al pascolo i loro animali. Poi, improvvisamente, tutto cambia. La guerra è alle porte e queste atmosfere conviviali sembrano soltanto un vago ricordo.
I potenti spiegano cosa li muove a portare avanti la guerra. Chi ne paga le spese, come sempre, sono i civili. Filmati di repertorio prese dagli aerei in volo intenti a lanciare bombe sul paese nemico colpiscono come un pugno allo stomaco. E ancor più d’impatto sono immagini di feriti che vengono trasportati in barella dopo un bombardamento, di corpi disposti in fila in attesa di sepoltura e, non per ultime, di immagini prese dall’alto di città completamente distrutte, in cui degli unici edifici rimasti in piedi è rimasta solo la facciata esterna.
The natural History of Destruction è un documentario tristemente attuale, che spara a zero su entrambe le fazioni, che urla la sua rabbia nei confronti di un passato doloroso che nel presente in cui viviamo vede fin troppi appigli. L’approccio inconfondibile di Sergei Loznitsa, poi, fa il resto e in un accurato lavoro di selezione e montaggio di filmati di repertorio non vede necessità alcuna di ridondanti didascalie.
Ancora una volta, il documentarista ucraino ha saputo scrivere un capitolo fondamentale della storia recente, offrendoci, al contempo diverse prospettive e diversi spunti di riflessione. Il suo The natural History of Destruction si è rivelato ancora una volta uno dei prodotti più interessanti e ricercati della celebre manifestazione cinematografica.
Un forte desiderio di giustizia – Nos Frangins
Nel dicembre 1986 – quando al governo c’era Jacques Chirac – si sono verificati, a Parigi, dei fatti piuttosto gravi: durante alcune manifestazioni studentesche in seguito a una riforma del sistema scolastico e universitario, Abdel Benyahia, un ragazzo di vent’anni, è stato ucciso da un poliziotto ubriaco. Successivamente, anche il giovane Malik Oussekine è stato picchiato a morte da tre poliziotti. La morte di Abdel verrà inizialmente oscurata dalle autorità al fine di scagionare il poliziotto. Quanto potrà durare, tuttavia, questa farsa?
Il regista Rachid Bouchareb ha messo in scena, dunque, tali drammatici avvenimenti nel lungometraggio Nos Frangins, presentato in anteprima in occasione della 75° edizione del festival di Cannes all’interno della sezione Cannes Prèmiere, mostrandoci i fatti dalla prospettiva delle famiglie delle vittime e sparando a zero, al contempo, contro chi deteneva il potere.
Nos Frangins è un film “arrabbiato”, una disperata richiesta di giustizia, un lungometraggio che in avvenimenti accaduti più di trent’anni fa trova, purtroppo, parecchi appigli anche nel presente. A tal fine, l’approccio registico adottato si fa forte della tradizione dei noir francesi, ma anche dei thriller statunitensi, puntando tutto, al contempo, su ritmi al cardiopalma, su strade della città in notturna, su appartamenti in penombra e su personaggi appena illuminati da fredde luci al neon.
La messa in scena adottata fa sì che il presente Nos Frangins si classifichi a tutti gli effetti come un thriller di impostazione classica complessivamente dignitoso, che, pur mancando di una propria marcata personalità o di eventuali (ma in questo caso, probabilmente superflui) virtuosismi registici, ci regala una storia cruda e fortemente d’impatto tramite un punto di vista obiettivo che non ha paura di mettere in luce anche i risvolti più “scomodi”. Interessante dal punto di vista contenutistico, ma senza infamia e senza lode per quanto riguarda la sua realizzazione, Nos Frangins è un film che, probabilmente, riceverà molti consensi in tutto il mondo.
Marina Pavido