SPECIALE #CANNES75 – 17/28 maggio 2022 #10 (DAY 5): Le incursioni critiche di Marina Pavido sulla Croisette

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La graffiante verità di R. M. N. e Triangle of Sadness. Cristian Mungiu e Ruben Östlund scombussolano la Croisette

(da Cannes Luigi Noera e Marina Pavido – Le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)

r.m.n.-mungiu-cannesPaura del “diverso” e ricerca della propria identità in R. M. N.

Ci si aspetta molto da un regista come Cristian Mungiu, ogni volta che sta per essere presentato un suo film. Anche in occasione del Festival di Cannes 2022, dunque, il suo R. M. N. – in corsa per la tanto ambita Palma d’Oro – si è fin da subito rivelato uno dei lungometraggi più attesi di tutto il festival. E, come di consueto, le aspettative non sono state deluse.

La storia messa in scena, dunque, è quella di Matthias, un operaio che, dopo aver lasciato il suo lavoro in Germania, torna nel suo piccolo e multietnico villaggio in Transilvania, al fine di trascorrere più tempo con suo figlio – che fino a quel momento aveva sempre vissuto la mamma – e di rivedere la sua ex amante Csilia. Nel momento in cui quest’ultima decide di assumere nella sua fabbrica alcuni lavoratori stranieri, molti abitanti del villaggio si ribelleranno ed episodi di violenza saranno quasi all’ordine del giorno.

R.M. N., inteso, appunto, come risonanza magnetica, è ciò di cui, secondo Cristian Mungiu, avrebbe bisogno il suo paese, al fine di portare allo scoperto meccanismi “invisibili” che altro non fanno che portare alla deriva la società, fomentando l’odio verso chi viene considerato “diverso”. Il villaggio in cui Matthias vive è molto piccolo, praticamente tutti conoscono tutti. Un elemento “esterno” potrebbe, quindi, far vacillare i già deboli equilibri precostituitisi.

Uno sguardo lucido e obiettivo, ma anche sofferente a causa di determinate dinamiche ben si sposa, così, con un approccio registico che di un ruvido realismo ha fatto il suo cavallo di battaglia. La storia di Matthias, del rapporto di quest’ultimo con suo figlio e con il suo padre anziano (la cui salute è per lui ulteriore motivo di preoccupazione), della mancanza di certezze in un presente, in cui la costante ricerca della propria identità fa quasi da protagonista assoluta, aprono discorsi ben più ampi.

  1. M. N. è un film complesso, stratificato, pregno di rimandi ad antiche leggende popolari rumene che, nel nostro presente, trovano un loro perfetto compimento. Cristian Mungiu ci ha regalato un’opera monumentale, dolente e dolorosa, che attraverso la storia di una piccola realtà traccia un grande affresco del mondo in cui viviamo. Un mondo impietoso, in cui sembra non esserci speranza alcuna per un futuro migliore.

triangle-of-sadness-cannesI soldi e il potere nella società capitalista di Triangle of Sadness

Se nel 2014 un’enorme ondata stava a rompere tutti i precari equilibri precostituitisi (nel lungometraggio Forza maggiore), ecco che, otto anni più tardi, è una tempesta in mare aperto – con conseguente naufragio – a ribaltare ruoli e situazioni. Il regista Ruben Östlund. – già Palma d’Oro a Cannes nel 2017 per The Square – si è divertito a sviscerare ogni aspetto e ogni bizzarra abitudine del mondo capitalista nel suo ultimo, irriverente lungometraggio, Triangle of Sadness, in concorso alla 75° edizione del Festival di Cannes.

Yaya e Carl, dunque, sono due modelli e influencer che, appena dopo la fine della Fashion Week, vengono invitati a prendere parte a una crociera su uno yacht di lusso. Durante una cena con il capitano della nave (impersonato da Woody Harrelson) si scatena una tempesta, tra i passeggeri dilaga il panico e, al mattino seguente, i sopravvissuti si ritrovano su un’isola deserta. Sarà qui, dunque, che le differenze di classe verranno annullate, i soldi non avranno più alcun valore e i ruoli si invertiranno. A cosa porterà tutto ciò?

Diviso in tre capitoli, Triangle of Sadness analizza al microscopio – in modo alquanto impietoso – ogni singolo aspetto dell’animo umano rapportato al desiderio di soldi e di successo. Yaya e Carl sono giovani, belli, hanno un grande seguito e il loro successo dipende principalmente dal numero dei loro follower. Su di loro, inizialmente, il regista concentra tutta la sua attenzione in un divertente siparietto che ha luogo in un ristorante di lusso, al momento di pagare il conto. Da quel momento in avanti il film – fatta eccezione per qualche lungaggine di troppo riguardante soprattutto il capitolo in cui i protagonisti e i loro compagni di viaggio si trovano sull’isola – il film è tutto in crescendo e, attraverso una serie di situazioni esilaranti al limite del paradossale (tra cui, su tutte, la cena sulla nave, dove, a causa del mal di mare, finiscono tutti per vomitare ovunque) analizza al microscopio ruoli e ideologie all’interno di una società in cui soltanto il Dio Denaro sembra avere potere su tutto.

Ruben Östlund non ha pietà di niente e di nessuno e in un’opera in cui nessuno dei protagonisti è realmente senza macchia, pronto com’è a vendere sé stesso e ciò a cui tiene pur di avere un proprio tornaconto, ci sembra più in forma che mai. Il suo Triangle of Sadness è una piacevole sorpresa all’interno della selezione di Cannes75. Un film politico, provocatorio e meravigliosamente folle arrivato sugli schermi della Croisette come una piacevole ventata d’aria fresca.

fumer-fait-tousser-dupieux-cannesFumer fait tousser ci racconta uno sgangherato gruppo di giustizieri che deve salvare il mondo

Questo è un periodo particolarmente prolifico per il regista e musicista Quentin Dupieux. Dopo aver presentato alla Berlinale, appena pochi mesi fa, il suo lungometraggio Incroyable mais vrai, eccolo tornare, infatti, al Festival di Cannes 2022 con Fumer fait tousser, fuori concorso, all’interno della sezione Midnight Screenings.

Un bambino viaggia in macchina con i suoi genitori. A un certo punto chiede a suo papà di potersi fermare per fare pipì. Una volta sceso dalla macchina, gli si presenterà davanti agli occhi uno spettacolo decisamente inaspettato: i celebri Tobacco Force, un gruppo di giustizieri che ricordano molto i Power Rangers e che sono soliti annientare i nemici con sostanze nocive contenute nelle sigarette, stanno combattendo contro una tartaruga gigante. Alla fine del combattimento, il loro capo ordina loro di trascorrere qualche giorno in un piccolo, ultra tecnologico residence nei pressi di un lago, al fine di concentrarsi e di lavorare sulla coesione del gruppo, in vista di un prossimo combattimento contro il potente e pericoloso Lezardin (Benoît Poelvorde). Una volta lì, ognuno di loro diletterà i loro compagni d’avventura raccontando storie di paura.

Ogni volta che sta per essere presentato un film di Quentin Dupieux, non si sa mai cosa aspettarsi. Il re del nonsense non ha paura di osare, di inventarsi storie che hanno dell’incredibile. E, a volte, la cosa gli riesce molto bene. Basti pensare, ad esempio, a Mandibules, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2020. Per quanto riguarda Fumer fait tousser, invece, troviamo il regista leggermente più fiacco e, di fianco a trovate indubbiamente d’impatto (interessante, ad esempio, anche la scelta di conferire al lungometraggio una struttura à la The Canterbury Tales, con le vicende dei giustizieri che fanno da bizzarra cornice narrativa) vi sono momenti in cui il lungometraggio gira a vuoto, perdendo pericolosamente di mordente.

Si ride, durante la visione di Fumer fait tousser, ma non troppo. Le idee ci sono, ma il modo in cui vengono di volta in volta sviluppate lascerebbe spesso a desiderare. Al di là di datori di lavoro che, malgrado l’aspetto di un topo di fogna, sembrano essere particolarmente contesi dalle donne, al di là di robot con il sistema operativo troppo lento per essere considerati d’aiuto, resta ben poco. Persino per quanto riguarda l’episodio con protagonista Adèle Exarchopoulos, che tanto ci era piaciuta in Mandibules. Ma tant’è. Considerati i ritmi con cui il regista sta lavorando, di certo presto ci capiterà di vedere un prossimo suo lungometraggio. Bisognerà vedere cosa la prossima volta avrà in serbo per noi.

Marina Pavido

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