Un divertente omaggio al cinema horror giapponese di serie B – Final Cut – la recensione di Marina
(da Cannes Luigi Noera e Marina Pavido – Le foto sono pubblicate per gentile concessione del Festival di Cannes)
In molti ricorderanno la brillante commedia horror Zombie contro Zombie, realizzata nel 2017 dal giovane Shin’ichirō Ueda. Cosa accadrebbe, dunque, se di questo film fosse realizzato un remake, ambientato, questa volta, in Europa? Presto detto. Solito da sempre omaggiare importanti correnti del passato (impossibile non ricordare l’omaggio al cinema muto The Artist) o realizzare riletture di grandi classici (vedi, appunto, la saga Agente 117), il regista francese Michel Hazanavicius, che sulla Croisette è ormai di casa, ha voluto dirigere una nuova versione della bizzarra pellicola giapponese, presentata – fuori concorso – in apertura del 75° Festival di Cannes. Ed ecco che, così, ha preso vita la commedia Final Cut, con protagonisti Romain Duris, Bérénice Bejo e una frizzante Matilda Lutz.
Remi (impersonato, appunto, da Duris) è un regista a cui viene commissionato un insolito progetto: girare un film di circa mezz’ora tratto da alcuni manga giapponesi. Il film dovrà essere girato interamente in piano sequenza e i nomi dei protagonisti dovranno essere gli stessi del manga, sebbene nel cast non siano presenti attori giapponesi. Dopo una serie di disavventure toccherà proprio al regista e a sua moglie Nadia (Bejo) impersonare i protagonisti.
Final Cut è indubbiamente un film esilarante, dove la struttura narrativa (in cui inizialmente vediamo il prodotto finito, per poi assistere a un lungo flashback che, man mano, ci riporta al momento delle riprese svelandoci tutto ciò che è accaduto dietro la macchina da presa) rispecchia a pieno il precedente lungometraggio di Shin’ichirō Ueda.
L’omaggio agli horror giapponesi di serie B è vivo e pulsante, la “confezione” è praticamente impeccabile. Il problema – come spesso accade con i film di Hazanavicius – è che ormai da tanto, troppo tempo vediamo il regista vivere praticamente di rendita grazie a quanto realizzato in passato. Con The Artist la cosa ha funzionato. Ed è anche piaciuta parecchio. Adesso ci si chiede cosa accadrebbe se il regista dovesse scrivere una sceneggiatura originale di suo pugno. Questo suo Final Cut è complessivamente un film godibile, arricchito da una piccola sottotrama che vede protagonisti il regista e sua figlia e che conferisce freschezza e un gradito lirismo all’intero lavoro. Ma, appunto, dopo una serie di omaggi e rielaborazioni, dove sono le idee?
Marina Pavido